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PATOLOGIE- IVU
 

INFEZIONE DELLE VIE URINARIE

Le infezioni delle vie urinarie (IVU) sono fra le più frequenti infezioni umane ed insieme a quelle dell'apparato respiratorio, costituiscono una delle affezioni di più comune riscontro nella pratica medica. Esse sono responsabili di circa 8.000.000 di visite ambulatoriali all'anno negli Stati Uniti e di più di 100.000 ricoveri ospedalieri. Sono anche al primo posto fra le infezioni nosocomiali. L'interesse per tali infezioni è costituito dalla loro morbilità e soprattutto dall'enorme impatto economico-sanitario ad esse relativo.

Infezione urinaria significa presenza di un processo infiammatorio, sostenuto da un agente infettante (generalmente un batterio), a carico del rene e/o di un tratto delle vie urinarie. Le vie urinarie, ad eccezione dell'ultimo tratto dell'uretra, sono normalmente sterili. I pazienti con IVU presentano in genere una batteriuria pari o superiore a 105 unità formanti colonie (UFC)/ml (batteriuria significativa), mentre una carica inferiore a 104 UFC/ml in pazienti asintomatici indica l'assenza d'infezione (batteriuria non significativa) o una contaminazione. Il concetto di batteriuria deve essere comunque interpretato in relazione al quadro clinico ed a tutti i possibili fattori interferenti sulla diagnosi microbiologica, primo fra tutti la modalità di raccolta delle urine, il contenitore impiegato per la raccolta, il tempo trascorso tra il prelievo e l'esame, l'entità della diuresi, il pH urinario, la recente assunzione di farmaci antibatterici ed infine un'elevata leucocituria, con numerosi batteri che sfuggono al conteggio in quanto adesi alla superficie dei globuli bianchi. La batteriuria può associarsi a sintomi indicativi di una IVU o essere del tutto asintomatica.
In caso d'infezione la batteriuria si associa generalmente a piuria ovvero alla presenza di leucociti nelle urine in numero significativo. La piuria non associata a batteriuria deve far sospettare un'infezione da Proteus che ha un'azione lisante sui leucociti o da microrganismi a lenta crescita o richiedenti particolari condizioni colturali (bacillo di Kock, anaerobi, emofili, capnofilici, forme L).


EPIDEMIOLOGIA

L'incidenza delle infezioni urinary varia a seconda dell'età del soggetto e del sesso. Nei primi tre mesi di vita il rapporto maschio/femmina è di 3:1 (ancora superiore nei nati pre-termine mentre la circoncisione riduce la frequenza. Nel bambino le infezioni sintomatiche si manifestano frequentemente con un quadro clinico aspecifico (ritardo di crescita, febbre). Esse non vanno mai sottovalutate in quanto possono essere espressione di malformazioni congenite e condurre ad un danno renale permanente. In età scolare e in quella adulta la vi è una netta prevalenza nel sesso femminile (25-40% delle donne con età compresa fra 20 e 40 anni); l'incidenza è stimata 0,5/persona/anno. L'incidenza nell'uomo aumenta in età avanzata per la comparsa di patologie (prima fra tutte l'adenomatosi prostatica) che interferiscono con lo svuotamento vescicale determinando stasi.
Negli anziani la prevalenza delle infezioni urinarie aumenta oltre che con l'età, con la disabilità e con l'istituzionalizzazione.


EZIOLOGIA

Nelle infezioni comunitarie il microrganismo più frequentemente implicato è l'Escherichia Coli e, meno frequentemente altri batteri Gram-negativi appartenenti alla famiglia delle Enterobatteriacee, come il Proteus Mirabilis e la Klebsiella Pneumonie. Urease-producing organisms, such as Proteus, Providencia, Morganella spp. and Crynebacterium urealyticum, predispose to stone formation (struvite). Among patients with staghorn calculus disease, 88% were found to have a UTI at the time of diagnosis and 82% of the patients were infected with urea-splitting organisms. The enzyme, urease, splits urea into carbon dioxide and ammonia. The resulting increase in ammonia in the urine injures the glycosaminoglycan layer, which in turn increases bacterial adherence and enhances the formation of struvite crystal. These aggregate to form renal stones and incrustations on urinary catheters.
Gram-positive organisms (Streptococcus faecalis, Staphylococcus saprophyticus) and Gram-negatives, others than E. Coli (Pseudomonas aeruginosa, Enterobacter spp., Serratia), are mostly involved in either complicated or nosocomial UTIs.
L'eziologia delle IVU è diversa a seconda che si prendano in considerazione episodi d'infezione non complicata o viceversa. In questi anni si è tuttavia assistito a significative variazioni dell'ecologia batterica delle vie urinarie con l'aumento dell'isolamento di germi tradizionalmente ospedalieri anche nelle infezioni acquisite in comunità o all'emergenza di patogeni sino a non pochi anni or sono ritenuti estranei alle vie urinarie.
I microrganismi più comunemente chiamati in causa costituiscono parte della normale flora saprofitica intestinale, sono quindi Gram negativi ed appartenenti alla famiglia delle Enterobatteriacee. Primo fra tutti è l'Escherichia Coli, responsabile di oltre l'80% delle forme comunitarie, anche se recenti studi forniscono percentuali sensibilmente inferiori. Non tutti i ceppi di E. coli sono ugualmente uropatogeni e quelli riscontrati più di frequente nelle IVU sono i sierogruppi O1, O2, O4, O6, O7, O18, O75, O150. I ceppi O4 e O6 sono soprattutto responsabili di infezioni delle alte vie urinarie.
Di più raro riscontro negli episodi isolati non complicati e di regola in causa nelle forme complicate sono invece altre Enterobatteriacee quali Proteus sp., Klebsiella sp., Enterobacter sp. ed anche Staphylococcus saprophyticus, Pseudomonas aeruginosa, e l'enterococco. Mentre le IVU comunitarie sono dovute nella maggior parte dei casi ad un singolo microrganismo, le infezioni nosocomiali sono spesso polimicrobiche, soprattutto se conseguenti ad un cateterismo vescicale prolungato. I batteri in questione sono rappresentati, oltre che dall'Escherichia coli (soprattutto nei pazienti cateterizzati per pochi giorni), da Pseudomonas aeruginosa, Klebsiella pneumonie, Proteus mirabilis, Serratia sp., Enterococchi, Enterobacter sp., Providencia stuartii, Morganella morganii, Staphylococcus epidermidis e Staphyloccoccus aureus. I batteri Gram positivi sono generalmente responsabili dei processi suppurativi renali. Nelle IVU nosocomiali le specie batteriche isolate dipendono da molti fattori (tipo di paziente, tipo di ospedale, terapia antibiotica) e si modificano rapidamente, con isolamento di una nuova specie patogena ogni due settimane circa. Infine, nei pazienti cateterizzati a lungo, specialmente se diabetici e trattati con antibiotici, sono di frequente riscontro taluni miceti: Torulopsis sp. e Candida sp.. In particolare l'incidenza della candiduria associata all'utilizzo dei cateteri vescicali sembra essere raddoppiata negli ultimi dieci anni.

I batteri possono raggiungere le vie urinarie attraverso diverse vie: canalicolare ascendente, ematogena, linfatica, discendente e per contiguità.
La via d'ingresso canalicolare è di gran lunga la più frequente e per ovvie ragioni anatomiche (brevità dell'uretra, con sbocco in vicinanza della vagina e dell'ano), il sesso femminile è quello maggiormente predisposto. I germi di origine intestinale trovano nel perineo, assimilabile ad una piega cutanea, un ambiente favorevole al loro sviluppo e possono, raggiungendo il meato uretrale esterno, risalire nell'uretra fino a raggiungere la vescica. Durante l'atto minzionale si può verificare una risalita dei germi in quanto, mentre nella fase iniziale, all'apertura del collo vescicale segue quella dell'uretra in senso prossimo-distale, al termine della minzione l'uretra si chiude in senso inverso, agevolando l'ingresso dei germi in vescica attraverso un reflusso uretro-vescicale. Le turbolenze del flusso urinario, conseguenti a restringimenti assoluti o relativi, funzionali od organici favoriscono il reflusso. E' stato anche dimostrato che il collo vescicale, pur partecipando mediante la sua chiusura alla continenza urinaria, non si oppone alla penetrazione di secrezioni dall'uretra alla vescica. Giunti in vescica i germi debbono moltiplicarsi in modo esponenziale per produrre un'infezione. Dalla vescica i batteri possono risalire lungo gli ureteri verso i reni, favoriti in questo processo dalla presenza di un reflusso vescico-ureterale (congenito o acquisito) (Fig.1). L'edema associato alla cistite può essere sufficiente ad alterare la giunzione uretero-vescicale favorendo il reflusso. Raggiunte le vie escretrici intrarenali, l'infezione si può propagare al rene attraverso un reflusso pielo-tubulare o pielo-interstiziale (intrarenale) che avviene soprattutto a carico di talune papille piatte, concave o composte, situate generalmente ai poli del rene. Inoltre, i germi possono passare nel circolo ematico attraverso un reflusso pielo-venoso e pielo-linfatico che avviene a livello dei fornici.
Il rene è riccamente vascolarizzato (20-25% della gittata cardiaca) e quindi germi provenienti da ferite cutanee, dalla cavità orale (es. in conseguenza di estrazioni dentarie) o da foci infetti in altre sedi dell'organismo, possano colonizzarlo in occasione di batteriemie, determinando generalmente la formazione di ascessi.
La via linfatica sembra essere di scarsa importanza e si basa su connessioni linfatiche fra le vie urinarie e, rispettivamente, il grosso intestino ed i genitali interni femminili.
La via discendente è la regola nell'infezione tubercolare mentre è estremamente rara nell'infezione batterica aspecifica. La sintomatologia vescicale che si può osservare in corso di pielonefriti o di pionefrosi è quasi sempre di natura riflessa e non realmente infiammatoria. Se non esistono fattori favorenti il ristagno d'urina, la vescica tollera il passaggio di enormi quantità di pus proveniente dai reni senza partecipare alla flogosi.
Infine è possibile una diffusione per contiguità o continuità da parte di processi infettivi che interessino visceri posti in rapporto con le vie urinarie.
Il solo ingresso dei batteri nell'apparato urinario non implica necessariamente lo sviluppo di un'infezione, che dipenderà dalla virulenza e dal numero dei microrganismi (carica batterica), dall'efficacia dei meccanismi di difesa dell'ospite e dall'eventuale presenza di fattori favorenti l'infezione.

Fattori batterici
I microrganismi causa di IVU sono dotati di specifiche strutture che consentono la colonizzazione della mucosa vaginale e periuretrale e quindi la risalita e l'invasione delle vie urinarie. Il primo passo verso l'infezione è rappresentato dall'adesione dei batteri alle cellule epiteliali. Tale adesione è mediata da proteine di superficie (adesine) localizzate all'estremità distale di sottili filamenti (pili o fimbrie) che si proiettano dalla parete del batterio. Attraverso le adesine, i microrganismi interagiscono con recettori delle cellule uroteliali e successivamente iniziano a moltiplicarsi e ad esercitare il loro effetto lesivo. Con il verificarsi del danno tessutale, dall'infezione si passa alla malattia. Le molecole di adesione selezionano quindi i microrganismi in grado di produrre una IVU e possono influenzare anche la sede di infezione. In modo particolare distinguiamo due tipi principali di fimbrie: le fimbrie di tipo I che sono il principale fattore di colonizzazione ed invasione delle basse vie urinarie (nonché dei cateteri vescicali), e le fimbrie di tipo II (fimbrie P) che caratterizzano la capacità del microrganismo di produrre pielonefrite, soprattutto con reflusso vescico-ureterale minimo o assente. Altre fimbrie, come la 075X, possono interferire con la risposta immunitaria dell'ospite. Molti altri fattori sono implicati nella virulenza batterica nei confronti delle vie urinarie. Tra questi la motilità dei batteri stessi, la capacità di rilasciare endotossine, di sfuggire alla fagocitosi (presenza di fimbrie P e di antigeni K) e di produrre sostanze come l'ureasi (Proteus spp., Staphylococcus saprophyticus ed occasionalmente altri coliformi), la colicina, le emolisine, l'aerobactim e l'enterochelina (proteine che sequestrano il ferro, importante per la crescita batterica) o altri fattori di necrosi cellulare.

Fattori legati all'ospite
Diversi sono i fattori che possono ostacolare o rispettivamente favorire l'instaurarsi di un'infezione urinaria. Fra i primi, il principale è rappresentato semplicemente dall'abbondante idratazione, con minzioni complete (assenza di residuo) e non eccessivamente diradate nel tempo. Inoltre, l'incremento della diuresi comporta un miglioramento del flusso ematico a livello della midollare del rene, con diminuzione dell'osmolarità e potenziamento delle difese contro i batteri. Nell'intervallo fra le minzioni il continuo rifornimento di nuova urina dagli ureteri assicura la progressiva diluizione della carica batterica comunque giunta in vescica. Nella donna il basso pH vaginale e la presenza di lattobacilli in vagina, favoriti dall'azione degli estrogeni, contrastano la colonizzazione da parte di enterobatteri anche se l'effetto è più spiccato verso germi che solitamente non determinano IVU. L'importanza degli estrogeni è testimoniata dalla maggiore frequenza delle infezioni immediatamente dopo le mestruazioni con netto decremento dopo l'ovulazione. Nell'uomo le secrezioni prostatiche hanno proprietà antibatteriche (sali di zinco), ma è la naturale lunghezza dell'uretra ed il suo sbocco lontano dalle zone contaminate dai batteri uropatogeni che rendono meno frequenti le IVU nel maschio. Infine, la frequenza delle infezioni è ridotta nei soggetti circoncisi. L'integrità della mucosa e l'acidità delle urine costituiscono dei fattori antibatterici naturali, tuttavia le urine possono essere considerate un ottimo terreno di coltura per molte specie batteriche ad eccezione degli anaerobi che richiedono per lo sviluppo un'alta tensione d'ossigeno. I glicosaminoglicani presenti nelle urine e sulla superficie uroteliale possono prevenire l'aderenza batterica interagendo con le adesine ed agglutinando i batteri che sono poi allontanati con la minzione. La proteina di Tamm-Horsfall, prodotta dai tubuli distali, presenta un recettore per le fimbrie di tipo I e per i leucociti polimorfonucleati, favorendo la rimozione dei batteri. La competenza della giunzione uretero-vescicale, la peristalsi ureterale e la presenza di papille renali non refluenti si oppongono alla progressione del processo infettivo dalla vescica verso le alte vie escretrici e nel parenchima renale. Il ruolo del sistema immunitario nelle IVU resta tuttora poco chiaro.
Numerosi sono i fattori che favoriscono le IVU (Tab. II). Nella donna, come riportato in precedenza, la brevità dell'uretra ed il suo sbocco in vicinanza dell'ano possano predisporre alle infezioni. Il fenotipo non secretore (assenza di particolari glicoproteine nelle secrezioni mucose) e la presenza dell'antigene d'istocompatibilità A3, sarebbero correlati ad una maggiore frequenza di IVU, che quindi, riconoscerebbero una predisposizione geneticamente determinata. L'attività sessuale, l'impiego di creme spermicide o di contraccettivi intrauterini, gli squilibri ormonali (es. menopausa) che alterano l'ecosistema batterico vaginale e possono favorire l'instaurarsi di difetti anatomo-funzionali (alterazioni della statica pelvica con residuo e/o incontinenza), le errate abitudini minzionali (svuotamento vescicale incompleto e minzioni eccessivamente dilazionate), l'irregolarità dell'alvo, la scorretta igiene della regione perineale (trasporto di germi verso il meato uretrale, abuso di detergenti intimi che alterano la flora vaginale), le manovre endoscopiche sulle vie urinarie, il cateterismo vescicale transuretrale, tutte le patologie, congenite o acquisite, che possono determinare stasi urinaria, i corpi estranei nelle vie urinarie (compresi i calcoli), la compromissione delle difese immunitarie, il reflusso vescico-ureterale ed il trapianto renale, sono tutte condizioni che comportano un maggiore rischio di IVU. Nel rene la parte che fisiologicamente è più indifesa nei confronti dell'aggressione batterica è la midollare in conseguenza della scarsa vascolarizzazione, dell'elevata concentrazione d'ammonio, che blocca l'attivazione del complemento, e dell'ipertonicità, che riduce la fagocitosi. Tutte le malattie che colpiscono il parenchima renale ne riducono ulteriormente le difese. Due altre importanti condizioni predispongono alle IVU: la gravidanza ed il diabete. Durante la gravidanza si ha una certa stasi urinaria, determinata da cause meccaniche (compressione ureterale, soprattutto a destra, da parte dell'utero gravido ed, in minor misura, dalle vene ovariche congeste) ed ormonali (ridotta peristalsi indotta dal progesterone), per lo stesso motivo si ha l'insorgenza di stipsi. Inoltre si può avere glicosuria e la comparsa di un reflusso vescico-ureterale, favorito dalla riduzione del tragitto intramurale degli ureteri. La batteriuria in gravidanza predispone alla pielonefrite acuta che, se non trattata, può determinare l'insorgenza di gravi complicanze. E' opinione comune che il paziente diabetico sia predisposto alle IVU a causa della glicosuria, della riduzione delle difese immunitarie, della possibile compromissione neurologica della vescica e della microangiopatia. In realtà numerosi studi epidemiologici non sono stati conclusivi in merito e, almeno nei diabetici con buon controllo metabolico, l'incidenza delle infezioni urinarie sembra essere simile a soggetti di controllo.


DIAGNOSI

Urocoltura ed esame delle urine
La diagnosi di un IVU è principalmente basata sulla clinica; alcune indagini di laboratorio confermano il sospetto diagnostico e guidano la terapia.
L'esame principale è l'urocoltura che fornisce indicazioni sul numero e sulla specie del batterio infettante. In caso di urocoltura positiva si associa l'antibiogramma che permette di valutare la sensibilità del/i microrganismo/i ai diversi antibiotici. L'esito dell'urocoltura dipende da diversi fattori, quali il tempo di permanenza delle urine in vescica (un tempo eccessivamente lungo può condurre a falsi positivi), la modalità di raccolta del campione e la conservazione del campione. L'urocoltura è attendibile solamente se la raccolta delle urine è avvenuta in modo congruo, evitando la contaminazione uretrale, meatale ed ambientale. Il mitto intermedio rappresenta la modalità usualmente seguita, altre metodiche, impiegate in casi particolari, sono rappresentate dalla puntura sovrapubica, dal sacchetto di plastica adesivo (nei bambini) e dal cateterismo vescicale (per il test di Meares si veda il capitolo delle affezioni prostatiche). I contenitori devono essere sterili, in plastica, monouso, a bocca larga e muniti di chiusura ermetica. L'urina deve essere esaminata entro 30 minuti se rimane a temperatura ambiente, 6 ore se mantenuta a + 4°C, 24 ore se a 4°C con aggiunta di acido borico all'1,8% o di polivinilpirrolidone all'1%. All'urocoltura si associa l'esame delle urine i cui elementi di maggior interesse, nel caso delle IVU, sono, l'aspetto (torbido in caso di piuria), il pH (alcalino in presenza di germi produttori di ureasi, enzima che scinde l'urea in ammoniaca), la presenza di nitriti, di lieve proteinuria e l'analisi del sedimento con ricerca di leucociti, emazie, batteri, cellule di sfaldamento epiteliale, cilindri granulosi, leucocitari e cerei (assenti con pH alcalino). L'esame delle urine può anche essere condotto in prima battuta mediante strisce reattive che consentono di evidenziare la presenza di leucociti (mediante l'esterasi leucocitaria) e di nitriti.
Nella donna giovane-adulta con quadro clinico di infezione non complicata delle basse vie urinarie confermata dall'esame delle urine con stick non vi è generalmente indicazione ad eseguire l'urocoltura. Infatti, in tali casi è meno dispendioso instaurare subito un trattamento antibiotico. L'uso routinario dell'urocoltura prima della terapia nelle infezioni delle basse vie urinarie determina un aumento considerevole dei costi con una riduzione della durata dei sintomi solamente del 10%. L'urocoltura diventa necessaria in particolari circostanze, quali episodi recidivanti, pielonefrite, scarsa responsività alla terapia antibiotica, età superiore a 65 anni, paziente di sesso maschile, infezione complicata o in corso di gravidanza. In talune di queste occasioni occorre anche ricercare eventuali fattori favorenti l'infezione, che debbono essere, se possibile, eliminati.

Localizzazione della sede
Per stabilire la sede dell'infezione urinaria ci si basa generalmente su dati clinici ed, in casi particolari, qualora sia indispensabile distinguere fra infezioni delle basse e delle alte vie urinarie, su esami di laboratorio, manovre strumentali o esami radiologici (ecografia, TC, urografia, scintigrafia). Questi ultimi sono particolarmente utili nel ricercare fattori predisponenti (ostruzione dell'apparato urinario) e nelle infezioni complicate delle alte vie escretrici.
Il test di Thomas si basa sulla rilevazione mediante immunofluorescenza di complessi batteri-anticorpo nelle urine. Questo test, più che definire la sede dell'infezione, è indice d'invasione tessutale e quindi non di semplice colonizzazione di superficie. Nelle pielonefrite in fase iniziale può risultare falsamente negativo e, nel complesso, la sua sensibilità è dell'88% e la specificità del 76%. Un discorso analogo vale per la ricerca di anticorpi specifici sierici. Nel sospetto di una pielonefrite possono essere dosate nelle urine alcune sostanze come indice di danno renale (b2 microglobulina, lattico-deidrogenasi, fosfatasi alcalina, malico-deidrogenasi, n-acetil-b-glucosaminidasi, lisozima). La presenza nel sedimento urinario di cilindri indica un interessamento del parenchima renale. La scintigrafia con Gallio-67 o con Indio-111 presenta delle limitazioni di sensibilità e di specificità e può risultare utile qualora si sospettino ascessi intra-addominali in assenza di segni di localizzazione, o nei casi in cui il sospetto clinico di ascesso rimanga elevato ma la risposta ecografica o della TC sia dubbia o negativa. Come test ex juvantibus si può trattare l'infezione con una singola dose di antibiotico, se vi è una risposta positiva si può escludere che l'infezione interessi le alte vie urinarie. Infine esistono metodiche invasive, quali il cateterismo ureterale con prelievo selettivo dell'urina ed il lavaggio vescicale con soluzione antibiotica (la mancata negativizzazione dell'urocoltura indica un processo infettivo delle alte vie escretrici).
Nella pratica clinica comune, l'anamnesi e l'esame obiettivo del paziente, associati all'esame delle urine ed all'urocoltura continuano a rappresentare gli elementi principali per la diagnosi e l'impostazione terapeutica di una buona parte delle IVU.


CLASSIFICAZIONE

Le IVU sono state classificate in vario modo, in base alla presenza o meno di sintomi, alla sede (alte o basse vie urinarie), all'andamento clinico e temporale (acuta o cronica, isolata o recidivante), alla gravità (complicata o non complicata) ed a criteri anatomopatologici.
Non sempre è facile definire la sede esatta dell'infezione e d'altrocanto l'apparato urinario rappresenta un'unità anatomofunzionale dal parenchima renale all'uretra e quindi la suddivisione delle IVU in singole unità cliniche non deve far dimenticare il possibile interessamento simultaneo di più distretti o anche dell'intero apparato.
La definizione d'infezione urinaria cronica (es. pielonefrite cronica) non indica necessariamente un processo infettivo persistente, di lunga durata, quale può essere generalmente quello tubercolare ma può riferirsi ad episodi infettivi ripetuti con un danno strutturale irreversibile.
Le infezioni non complicate sono più frequenti nel sesso femminile ed implicano l'assenza di anomalie strutturali e funzionali delle vie urinarie. Le infezioni complicate sono distribuite uniformemente in entrambi i sessi e sono associate a germi resistenti ai comuni antibiotici e/o a fattori favorenti quali alterazioni anatomofunzionali delle vie urinarie, immunodepressione, malattie dismetaboliche, ospedalizzazione.
Con il termine di infezione isolata si intende il primo episodio di IVU o quello separato da precedenti infezioni da almeno 6 mesi. Reinfezione indica una recidiva sostenuta da un microrganismo diverso dal precedente mentre con infezione ricorrente si intende una recidiva determinata sempre dallo stesso microrganismo proveniente dall'esterno delle vie urinarie o da un focus infetto delle vie urinarie (infezione persistente).


INFEZIONI DEL TRATTO URINARIO INFERIORE

Cistite
Il termine generico di cistite indica l'infiammazione della vescica indipendentemente dall'eziologia (infettiva, allergica, chimica, immunitaria o da agenti fisici). Trattando le IVU, si farà riferimento in modo particolare alla cistite batterica acuta che è una delle più frequenti malattie umane. Le forme croniche sono più frequentemente determinate da altre cause (allergica, chimica, immunitaria, agenti fisici, infezione tubercolare, parassiti).
Dal punto di vista anatomopatologico, nelle forme acute vi è un interessamento della mucosa con relativa integrità della muscolare, mentre la sottomucosa partecipa alla flogosi diversamente secondo l'intensità della stessa e l'aggressività dell'agente patogeno. L'edema assume frequentemente l'aspetto bolloso, soprattutto in vicinanza del collo vescicale. Le forme croniche si caratterizzano per una sclerosi della tunica muscolare, della sottomucosa e talora del pericistio (Tab. III).
Il quadro clinico è dominato dai disturbi minzionali, rappresentati da pollachiuria importante, sia diurna che notturna, stranguria, generalmente terminale, tenesmo vescicale, piuria con urine torbide o francamente purulente e maleodoranti (odore ammoniacale in presenza di germi che scindono l'urea ed odore di pesce lesso nelle forme da colibacillo). I sintomi sono invalidanti ma non vi è compromissione dello stato generale del soggetto e, se l'infezione è limitata alla vescica, la febbre è infrequente. L'esame obiettivo evidenzia un dolore alla palpazione sovrapubica. Può essere presente ematuria.
Come già indicato precedentemente, l'evento singolo di cistite acuta nella donna giovane-adulta non necessita di particolari accertamenti. Infine, le cistiti possono richiedere una diagnosi differenziale nei confronti di altre affezioni che si presentano con disturbi minzionali irritativi, quali, principalmente, la tubercolosi urinaria (urocoltura standard negativa, esame delle urine con leucocituria e pH acido), la cistite attinica, la cistite chimica, la sindrome uretrale e la cistite interstiziale (urocoltura negativa), il carcinoma vescicale, soprattutto il carcinoma in situ (urocoltura negativa, citologici positivi), la calcolosi vescicale (a cui si può sovrapporre un'infezione), le vaginiti e le uretriti.


INFEZIONI DEL TRATTO URINARIO SUPERIORE

Pielonefrite acuta
La pielonefrite acuta è un'infiammazione batterica che coinvolge contemporaneamente la pelvi, i calici e l'interstizio della papilla e della piramide midollare del rene. I germi in questione (soprattutto Enterobatteriacee) e le vie d'infezione (canalicolare ascendente, raramente ematica come nell'infanzia per la pielonefrite da Klebsiella o da coliformi conseguente a meningite purulenta) sono già stati discussi. Altre infiammazioni batteriche acute dell'interstizio renale sono rappresentate dalla nefrite acuta batterica focale o lobare (lobar nephronia) e dalla nefrite acuta batterica diffusa. Nei pazienti con pielonefrite acuta è spesso pre-esistente una batteriuria asintomatica.
Da un punto di vista antomopatologico il rene interessato dalla pielonefrite si presenta aumentato di volume, teso, edematoso e pertanto pallido. A livello della midollare vi sono focolai d'essudazione tendenzialmente suppurativa che in un secondo tempo si estendono alla corticale. La mucosa pielo-calicale è ispessita, arrossata, edematosa, a tratti ulcerata o ricoperta da materiale essudatizio proteico o da membrane di fibrina che possono poi fungere da nucleo d'aggregazione di calcoli. L'urina nelle vie escretrici renali è torbida. Istologicamente si ha un interessamento iniziale di alcune zone dell'interstizio midollare con un infiltrato infiammatorio acuto che successivamente si estende alla corticale con formazione di piccoli ascessi a volte confluenti. I glomeruli resistono più a lungo alla flogosi rispetto ai tubuli. L'esito è la restitutio ad integrum o la guarigione con sostituzione fibrosa delle zone colpite. Oltre alla più frequente pielonferite diffusa (catarrale o flemmonosa) vi è una forma circoscritta che prende il nome di papillite necrosante (necrosi papillare), in cui la flogosi suppurativa si localizza elettivamente all'apice della piramide. E' un vero e proprio ascesso della papilla renale la quale può essere parzialmente od interamente eliminata attraverso le urine. La predilezione per la parte più delicata della midollare è favorita da un precedente danno vascolare. Infatti, il diabete costituisce uno dei principali fattori predisponenti per la necrosi papillare seguito dall'abuso d'analgesici, dall'emoglobinopatia a cellule falciformi e dall'uropatia ostruttiva.
La pielonefrite acuta si caratterizza per un esordio brusco con dolore a livello dell'angolo costo-vertebrale, febbre elevata preceduta da brivido e piuria. Lo stato generale del paziente è compromesso, con prostrazione e malessere. Possono essere presenti disturbi neuro-vegetativi, come nausea e vomito, così come sintomi di tipo cistitico. Questi ultimi, come già rilevato, non indicano necessariamente un interessamento del basso tratto urinario ma più spesso riconoscono un'origine riflessa. L'andamento febbrile è fortemente remittente o intermittente, tranne che nelle gravi uropatie ostruttive nelle quali esso può essere sub-continuo. Nel paziente anziano il quadro clinico può essere aspecifico con confusione mentale o sintomi gastrointestinali o polmonari, mentre in circa 1/3 dei casi non è presente febbre. In caso di necrosi papillare il quadro clinico è variabile e può essere acuto, rapidamente progressivo e fulminante o caratterizzato da ematuria accompagnata da colica renale o essere del tutto subdolo. Frammenti necrotici possono essere rintracciati nelle urine.
All'esame obiettivo si apprezza frequentemente una tensione alla palpazione bimanuale della loggia renale con dolore alla percussione. La diagnosi ancora una volta si basa sul quadro clinico, sull'esame dell'urina e sull'urocoltura. All'esame emocromocitometrico si evidenzierà una leucocitosi neutrofila. La diagnosi differenziale va fatta con l'appendicite retrocecale, con l'ascesso subfrenico e con la pleurite basale; la distinzione nei confronti di altri processi infettivi acuti del rene (pionefrosi e pionefrite) non è semplice sulla base del solo quadro clinico.
Le complicanze della pielonefrite acuta sono rappresentate dall'estensione del processo flogistico all'atmosfera adiposa perirenale con andamento flemmonoso ed invasione di spazi, tessuti od organi adiacenti e dall'evoluzione setticemica, favorita da condizioni di stasi urinaria e/o riduzione delle difese del paziente. Altra complicanza grave è la pielonefrite enfisematosa, infezione necrotizzante acuta che coinvolge il rene e lo spazio perirenale; il microrganismo più frequentemente isolato è l'Escherichia coli ed i pazienti presentano generalmente un'ostruzione delle alte vie urinarie, litiasi e/o diabete. Le condizioni generali sono molto compromesse e la mortalità è elevata.
La prognosi, nei casi non complicati è generalmente buona e dipende dall'impiego di antibiotici efficaci e dalla correzione di eventuali fattori predisponenti.
Un discorso a parte merita la pielonefrite acuta in gravidanza. Essa è stata posta in relazione alla batteriuria presente prima del concepimento. L'incidenza della batteriuria in gravidanza è del 4-7%, quindi sovrapponibile a quella che si riscontra nella popolazione femminile generale. Tuttavia, circa il 20-40% delle donne con batteriuria durante la gravidanza, svilupperà una pielonefrite acuta, mentre ciò accade solamente nello 0,5-1% in assenza di batteriuria. In era pre-antibiotica la pielonefrite acuta presentava un'alta percentuale di prematurità e di mortalità perinatale. Il meccanismo correlato alla prematurità sembra essere la produzione di fosfolipasi A2 da parte del microrganismo infettante che è in grado di indurre l'inizio del travaglio. Durante la gravidanza, la batteriuria, sia sintomatica che non, va quindi trattata con antibiotici mediante i quali il rischio di complicanze si riduce di circa 10 volte.

Pielonefrite cronica
Con il termine di pielonefrite cronica s'intende un insieme di processi patologi che interessano il bacinetto, i calici e l'interstizio renale, determinando delle lesioni croniche (ab initio o come evoluzione di un processo acuto). Solo una parte di queste affezioni può essere correlata ad un'eziologia batterica; altri meccanismi sono rappresentati principalmente da fattori tossici. Anche il reflusso vescico-ureterale di per sé, ovvero in assenza di batteri, può determinare un danno renale cronico. Quindi, alcune pielonefriti croniche riconoscono gli stessi fattori eziopatogenetici delle infezioni urinarie, ai quali si aggiunge un meccanismo in genere poco valorizzato rappresentato dalla batteriemia asintomatica quale si può verificare in corso di estrazioni dentarie o per ferite anche lievi con passaggio di germi nel circolo ematico, colonizzazione di organi riccamente vascolarizzati e sviluppo di flogosi focali che non raramente evolvono in maniera cronica.
Macroscopicamente il rene risulta rimpicciolito con una superficie irregolare per la presenza d'infossamenti che corrispondono ad aree cicatriziali (rene grinzo). La capsula renale appare aderente al parenchima ed anche il tessuto adiposo perirenale partecipa all'evoluzione sclerotica divenendo anch'esso difficilmente scollabile dal rene. Il parenchima renale è assottigliato e percorso da chiazze o strie biancastre; i calici sono deformati a clava e più o meno ravvicinati alla capsula renale ("corticalizzazione" dei calici anche se a rigore è la corticale che si avvicina ai calici e non viceversa), le papille sono appiattite. Nelle fasi avanzate i reni diventano estremamente piccoli a volte irriconoscibili. La corrispondenza delle aree cicatriziali del parenchima alle lesioni dei calici permette di distinguere la pielonefrite cronica da altre nefropatie raggrizzanti. Istologicamente le lesioni hanno carattere zonale con interessamento dell'interstizio, dei tubuli e dei glomeruli; si ha un infiltrato parvicellulare, fenomeni di sclerosi periglomerulare (che caratterizzano la pielonefrite cronica batterica da altre forme di pielonefrite), jalinizzazione dei glomeruli, atrofia dei tubuli, ectasia dei dotti collettori ripieni di una sostanza amorfa, eosinofila simile alla colloide tiroidea (trasformazione similtiroidea del parenchima renale).
La sintomatologia non è tipica. Il dolore renale è incostante e può essere rappresentato da una dolenzia in regione lombare; episodi febbrili sono rari; in genere il quadro clinico è dominato dall'insufficienza renale e dalle sue complicanze, qualora tutte e due i reni siano interessati o quando il rene controlaterale non riesca a supplire la ridotta funzione di quello adelfo.
Nella diagnosi, accanto all'anamnesi (ricerca di episodi pielonefriti acuti, reflusso vescico-ureterale, batteriuria in gravidanza) all'esame dell'urina (ipostenuria, eventuale batteriuria, cilindruria), agli indici di funzionalità renale (incremento della creatininemia e dell'azotemia e delle rispettive clearances), risulta importante l'ecografia e, soprattutto, l'urografia che pone in evidenza le caratteristiche macroscopiche tipiche della pielonefrite cronica.

Ascesso renale e peri/pararenale
L'ascesso renale è la raccolta di materiale purulento all'interno del parenchima renale, rappresenta quindi una pionefrite. Fino ad anni recenti la maggior parte degli ascessi renali avveniva per via ematogena da parte dello Stafilococco aureo. La fonte d'infezione può risiedere in ogni distretto corporeo (cavo orale, cute, polmone ossa, ecc.), ma non raramente la porta d'ingresso dei microrganismi resta misconosciuta. Essendo la circolazione arteriosa renale di tipo terminale, gli emboli micotici raggiunta un'arteriola di piccolo calibro determinano un'ischemia con necrosi tessutale (infarto bianco). L'invasione del tessuto mortificato da parte di microrganismi piogeni determina la successiva suppurazione. La sede di tali ascessi è la corticale del rene. Accanto all'ascesso circoscritto, si ha una forma acuta miliare, in corso di setticopiemia, con ascessi metastatici multipli, a prognosi infausta. Negli ultimi decenni i batteri Gram negativi sono divenuti i principali agenti eziologici degli ascessi renali. La diffusione ematogena di batteri Gram negativi rappresenta un evento probabile, ma non la modalità primaria della formazione d'ascessi. L'infezione ascendente, associata ad ostruzione, rappresenta invece la causa principale degli ascessi da Gram negativi. Tali ascessi possono costituire l'evoluzione di una nefrite batterica acuta focale. Essi si localizzano nella midollare del rene e nei due terzi dei casi sono associati a calcoli o a preesistente danno renale.
Il quadro clinico locale è caratterizzato da un vivo dolore in corrispondenza dell'angolo costo-vertebrale, esacerbato dalla palpazione, dai colpi di tosse, dalle inspirazioni profonde o dai movimenti del dorso, che costringe il paziente ad assumere una posizione antalgica. E' presente un'ipomobilità del diaframma dal lato interessato ed una febbre elevata con puntate brusche, precedute da brividi intensi e seguite da remissioni con abbondanti sudorazioni, le condizioni generali sono generalmente compromesse. Le urine, in caso di mancato interessamento delle vie urinarie, si mantengono limpide. L'ascesso renale può drenarsi spontaneamente nelle vie escretrici o estendersi nella loggia renale e nel grasso pararenale, discendendo verso il basso ed affiorando a livello lombare, nel triangolo di Petit o nel quadrilatero di Grynfeltt o, ancora più in basso, nel triangolo di Scarpa oppure nella regione glutea attraverso il grande forame ischiatico, rendendosi così evidente all'ispezione ed alla palpazione. Superiormente il processo suppurativo si può estendere, superando il diaframma, alla pleura (empiema pleurico) ed al polmone svuotandosi all'esterno mediante i bronchi con una vomica.
In passato, gli ascessi renali erano diagnosticati con difficoltà essendo riconosciuti in almeno il 40% dei casi solamente post-mortem. Attualmente, per la diagnosi ci si avvale oltre che dell'anamnesi (ricerca di una recente infezione da Gram positivi), dell'esame obiettivo e del quadro clinico, soprattutto dell'ecografia (Fig. 2) e della TC dell'addome (Fig. 3) che consentono di distinguere l'ascesso da altre masse renali, di determinarne le dimensioni e l'estensione e di effettuarne la puntura evacuativa percutanea utile per individuare l'agente eziologico, instaurare una terapia mirata e drenare la raccolta stessa. Anche la semplice radiografia dell'addome può fornire importanti informazioni evidenziando una bozzatura dell'ombra renale o, nel caso di un ascesso peri/pararenale, la scomparsa dell'ombra dello psoas ed una scoliosi con concavità diretta verso il lato interessato. E' presente leucocitosi marcata, le emocolture sono frequentemente positive mentre può non essere presente né piuria né batteriuria.
La prognosi varia moltissimo a seconda dello stato generale nel quale si trova il paziente all'atto della localizzazione renale del processo suppurativo. E' molto seria nelle forme diffuse e setticemiche.

Pionefrosi ed idronefrosi infetta
La pionefrosi è una distruzione suppurativa del rene. Allo stesso processo, quando sia già presente un'idronefrosi (dilatazione modesta o grave del sistema pielocalicale in grado di determinare un danno progressivo del parenchima renale) si da il nome di idropionefrosi. Alla base della pionefrosi vi sono due condizioni: ostruzione e quindi stasi urinaria ed infezione, per via ascendente o ematica. A volte l'infezione può essere iatrogena per strumentazioni effettuate in cavità ostruite. Si distinguono delle forme acute (ostruttive, da pielonefrite flemmonosa, da idronefrosi infetta) e croniche (fibrosante, policavitaria-atrofica, monocavitaria-sacca purulenta). L'andamento acuto o cronico del processo flogistico non è determinato dalla carica batterica, dalle condizioni del rene o dalla via d'infezione, ma principalmente dalla reattività dell'ospite. Nelle forme avanzate, irreversibili, il parenchima renale è completamente trasformato in una sacca piena di pus. Esistono invece delle forme in cui alla suppurazione si associa la sclerosi, con conservazione di parte del parenchima che risulta però non funzionante; la sclerosi si può estendere al tessuto adiposo perirenale ed intrasinusale (sclerolipomatosi).
La sintomatologia può variare in rapporto all'andamento acuto o cronica della pionefrosi e della via d'infezione. In genere il quadro clinico è caratterizzato da dolore o semplice dolenzia lombare, febbre intermittente o febbricola, accompagnate o meno da sintomi delle basse vie urinarie. Può essere presente una tumefazione del fianco ed eventualmente una fistola cutanea così come una compromissione più o meno grave delle condizioni generali.
La palpazione della loggia renale evoca dolore e può evidenziare una massa ballottabile. Accanto all'esame delle urine sono nuovamente di fondamentale importanza per pianificare la terapia chirurgica l'ecografia, l'urografia ed in modo particolare la TC.

Pielonefrite xantogranulomatosa
Si tratta in realtà di una pionefrosi di raro riscontro. E' un'infezione cronica che porta alla distruzione diffusa del rene che appare aumentato di dimensioni, con parenchima sostituito da noduli giallastri e granulazioni pericalicali. E' comune un'intensa fibrosi perirenale. All'esame microscopico sono presenti istiociti schiumosi infarciti di lipidi (cellule xantomatose) e spesso sono evidenti aree necrotico-emorragiche. La pielonefrite xantogranulomatosa è più frequente nel sesso femminile, nella 5a-7a decade di vita. Il 15% circa dei pazienti è diabetico e frequentemente è associata una calcolosi renale ed un'infezione da Proteus o E.coli.
La maggior parte dei pazienti riferisce dolore lombare, febbre e malessere generale. All'esame obiettivo si può riscontrare una massa in loggia renale.
La diagnosi differenziale nei confronti del tumore renale è estremamente difficile anche con la TC dell'addome e spesso si ricorre alla nefrectomia nel sospetto di una patologia neoplastica. La ricerca delle cellule xantomatose nelle urine può essere d'aiuto. Inoltre anche l'aspetto microscopico (vedi sopra) è abbastanza simile a quello del carcinoma renale a cellule chiare.


SEPSI E FEBBRI UROSETTICHE

Con il termine di sepsi o setticemia si intende una patologia sistemica caratterizzata da alterazioni metaboliche ed emodinamiche, associate alla presenza e moltiplicazione di microrganismi patogeni o di endotossine nel sangue. Quando è presente una significativa riduzione della pressione arteriosa sistolica si parla di shock settico (Tab. IV). Un'infiammazione sistemica (SIRS) clinicamente indistinguibile dalla setticemia e da cui si differenzia solo per l'assenza di infezione, può verificarsi in presenza di pancreatite acuta, ustioni, politraumi.
Nel corso degli ultimi decenni si è assistito ad un notevole incremento dei casi di sepsi, soprattutto di origine nosocomiale. Si stima che l'1-2,5% dei pazienti ospedalizzati sviluppi una batteriemia nel corso del ricovero.
La sepsi di origine urinaria (infezione urinosa) è dovuta ad un'immissione in circolo di germi patogeni provenienti dalle vie urinarie. La condizione locale che favorisce al tempo stesso l'infezione e la sepsi è la stasi urinaria. Spesso si possono riconoscere delle cause scatenanti rappresentate soprattutto da manovre strumentali (cateterismi, endoscopie, uretrografie, pielografie ascendenti) (Fig.5), specialmente qualora si verifichi un'infrazione mucosa del tratto urinario. I germi possono raggiungere il torrente circolatorio direttamente (es. lesione iatrogena dell'uretra spongiosa, reflusso pielo-venoso da rottura di un fornice per distensione delle alte vie escretrici) o indirettamente attraverso i linfatici retroperitoneali, o un reflusso pielo-linfatico o pielo-interstiziale. I fattori predisponenti generali sono rappresentati dall'età avanzata o neonatale, dal diabete e da condizioni di immunosoppressione.
I germi in questione sono più frequentemente Gram negativi, soprattutto E.coli, seguita da Klebsiella, Pseudomonas, Enterobacter, Serratia, Proteus spp. con l'aggiunta non sempre dimostrabile di anaerobi patogeni.
Lo shock settico è determinato da una cascata di eventi messi in atto dall'organismo nei confronti dell'agente patogeno. Il principale fattore scatenante è rappresentato dall'endotossina batterica, un componente lipopolisaccaridico della membrana esterna, che possiede caratteristiche altamente immunogene. Ad esso si deve l'attivazione di meccanismi umorali (sistema del complemento, fattore XII) e cellulari (monociti, neutrofili e cellule endoteliali) con produzione di citochine, monossido d'azoto, sostanze citotossiche, prostaglandine, fattore d'attivazione delle piastrine ed altri mediatori biologici, che portano alle alterazioni emodinamiche e metaboliche caratteristiche della sepsi e dello shock.
Il quadro clinico può essere caratterizzato da un unico accesso, accessi multipli o andamento cronico (raro).
La forma più frequente è rappresentata da un accesso unico ad evoluzione rapida (tipicamente dopo manovre strumentali sull'uretra) che si caratterizza per la comparsa repentina di brividi squassanti, sensazione di freddo con cianosi dell'estremità; in poco tempo il brivido ed il freddo lasciano il posto ad una sensazione di calore intenso, con arrossamento del volto ed ascesa della febbre fino a 40°C. Dopo alcune ore si verifica un'intensa sudorazione con defervescenza per crisi. A tali sintomi si associano tachipnea con alcalosi respiratoria, tachicardia, nausea e vomito. Tale quadro clinico si risolve generalmente nell'arco di 24 ore. Modificazioni dello stato di coscienza possono essere importanti e clinicamente significative. Soprattutto nei pazienti anziani l'unico segno può essere l'obnumilamento mentale. Esistono forme che perdurano più a lungo; la febbre è elevata ed assume carattere continuo, con minime remissioni mattutine e preceduta da brividi squassanti, e si associa ad ipotensione. In alcuni casi, con il progredire del quadro clinico si possono osservare delle lesioni cutanee: l'ectima gangrenoso (lesione ad occhio di bue) si associa soprattutto a sepsi da Pseudomonas aeruginosa, le petecchie, l'eritema diffuso, la gangrena periferica sono relative alla coagulazione intravascolare disseminata. Se la sepsi si prolunga vi può essere un quadro di insufficienza multiorgano (MOF) coinvolgente i polmoni, il rene ed il fegato.
La mortalità associata allo shock settico è tuttora superiore al 30%; la prognosi dipende della tempestività della diagnosi (individuazione dell'agente patogeno e della fonte di batteriemia), dall'appropriatezza della terapia e da eventuali malattie concomitanti del paziente.


TERAPIA DELLE INFEZIONI URINARIE

La terapia delle IVU si basa principalmente sull'impiego di antibiotici e sulla correzione di eventuali fattori predisponenti (vedi sopra). Il trattamento antibiotico deve tenere conto che la storia naturale delle IVU è diversa a seconda della sede dell'infezione e della presenza o meno di eventuali situazioni di rischio. Nella donna adulta non in gravidanza, ad esempio, la prognosi della cistite batterica acuta è ottima anche a prescindere dal trattamento, il cui scopo principale è quello di abbreviare la durata della sintomatologia. In altre circostanze, la terapia antibiotica si prefigge lo scopo di impedire il verificarsi di serie complicanze. I farmaci antimicrobici debbono raggiungere adeguate concentrazione nelle urine ed indurre la completa scomparsa della crescita batterica. La causa più comune di batteriuria irrisolta è rappresentata dalla resistenza batterica nei confronti dell'antibiotico scelto per la terapia. Tale resistenza può dipendere da una naturale insensibilità del germe per il farmaco in questione oppure può essere dovuta alla selezione di mutanti resistenti o ancora può essere mediata da plasmidi. La scelta dell'antibiotico deve basarsi sulla gravità dell'infezione (complicata o meno, interessante le basse o le alte vie urinarie), l'efficacia nei confronti del probabile patogeno (nel caso si disponga dell'urocoltura e dell'antibiogramma la scelta risulta semplificata), l'eventuale stato di gravidanza o ipersensibilità del paziente, i possibili effetti collaterali (compresa la tossicità epatica e renale) ed infine, non meno importante, il costo. Molti sono gli agenti antimicrobici che possono essere impiegati nelle IVU, i più comuni sono indicati nella tabella V.
Nel trattamento della cistite acuta non complicata della donna giovane, il farmaco di prima scelta è rappresentato dal Cotrimossazolo. Altri farmaci di comune impiego sono La Fosfomicina e la Nitrofurantoina. I Fluorchinoloni sono altamente efficaci e ben tollerati ma risultano più costosi. Il loro utilizzo è soprattutto indicato nelle infezioni recidivanti, in caso di insuccesso terapeutico, di allergie verso altri farmaci, di resistenze microbiche e in presenza di infezioni complicate. Se impiegati incongruamente potrebbero generare delle resistenze e perdere di efficacia nelle infezioni delle vie respiratorie o polimicrobiche o nelle infezioni genitourinarie gravi, comprese le prostatiti. Le cefalosporine e le penicilline sono i farmaci di scelta nella gravidanza.
Per quanto riguarda la durata della terapia, nella donna con cistite acuta batterica non complicata la terapia antibiotica monodose è in generale meno efficace di una terapia prolungata. La maggior parte degli antibiotici somministrati per 3 giorni sono efficaci come lo stesso antibiotico somministrato più a lungo. Nelle donne anziane e nelle cistiti provocate da S. saprophyticus è preferibile una terapia di 7 giorni. La pielonefrite acuta richiede una terapia antibiotica della durata di due settimane da iniziare, generalmente in regime di ricovero ospedaliero. In base alla gravità del quadro clinico si valuterà se impiegare una terapia antibiotica per via orale o parenterale.
In presenza di IVU recidivanti può essere utile ricorrere ad una profilassi antibiotica, escludendo che all'origine delle recidive non vi siano delle alterazioni delle vie urinarie o altri fattori predisponenti che possano essere corretti. L'efficacia della profilassi dipende in gran parte dalla capacità degli agenti antimicrobici di eliminare i batteri patogeni dalla flora fecale e dal vestibolo vaginale, senza generare resistenze batteriche. I farmaci più utilizzati sono il Cotrimossazolo (240 mg/die), la Nitrofurantoina (50-100 mg/die) e la Cefalessina (250 mg/die). Essi vanno somministrati alla sera, al momento di coricarsi, per un periodo di tempo di 6-12 mesi. La profilassi ha un'efficacia di circa il 95% nel ridurre gli episodi infettivi. Un'altra possibilità, altrettanto efficace, consiste nell'impiego di vaccini pre-costituiti oppure di autovaccini, appositamente preparati a partire dal ceppo batterico isolato nelle urine del paziente. Risultati soddisfacenti si ottengono anche con la somministrazione di fermenti lattici che agiscono modificando la flora batterica intestinale ed influenzando positivamente lo stato immunologico locale o mediante l'impiego di succo o estratti di mirtillo rosso ad alta titolazione di polifenoli che inibiscono selettivamente l'adesione batterica. Nella donna in menopausa la terapia sostitutiva estrogenica migliora il trofismo vaginale, determina il ripristino della flora lattobacillare contrastando le IVU recidivanti.
Per quanto concerne la batteriuria asintomatica il trattamento antibiotico è opportuno solamente in alcune circostanze quali infezione da Proteus (possibilità di formazione di calcoli infetti), condizioni di immunodepressione, pazienti diabetici o con trapianto renale o nell'imminenza di un intervento chirurgico urologico, donne in gravidanza, bambini con reflusso vescico-ureterale ed in presenza di ostruzione del tratto urinario. In assenza di tali condizioni la terapia antibiotica della batteriuria asintomatica non offre vantaggi rispetto al trattamento con placebo sia a causa delle reinfezioni nei pazienti trattati che delle remissioni spontanee in quelli non trattati mentre espone al rischio di reazioni indesiderate e favorisce la selezione di germi resistenti.
La terapia delle IVU può anche richiedere manovre invasive. Qualora sia presente un ascesso renale o una pionefrosi può risultare indicato, unitamente alla terapia antibiotica, un drenaggio percutaneo della raccolta purulenta sia a scopo diagnostico che terapeutico. La nefrectomia è indicata nei casi di estesa compromissione del parenchima renale.
Per quanto concerne lo screening delle IVU non vi sono evidenze sostanziali che esso risulti utile in età pediatrica e negli anziani (il trattamento delle infezioni asintomatiche non determina reali benefici) mentre è dimostrata la sua convenienza prima di interventi chirurgici urologici e durante la gravidanza. In particolare si raccomanda l'esecuzione dell'urocoltura fra la 12a e la 16 a settimana di gestazione; nel caso in cui sia presente una batteriuria occorre intraprendere una terapia antibiotica seguita da un monitoraggio mensile con urocoltura.

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